lunedì 10 dicembre 2007

La psicologa risponde

Pubblichiamo la prima lettera di una rubrica mensile che avrà come tema le Vostre problematiche. Vi invitiamo pertanto a scriverci - vi aiuteremo ad affrontare la vostra carriera in modo più sereno.
Scrivete a danzaclassica@danzaclassica.net

Preoccupazioni di un padre

Sono un padre, che ha visto sua figlia lasciare il "nido genovese" all'età di 14 anni, perché solo a Roma (all'ACCADEMIA NAZ. di DANZA) c'era il compimento della sua vita; o.k. mi sono detto (in cuor mio) le passerà. S'é diplomata ed ora, avendo vinto una "bosa di studio" é alla LABAN a Londra.

Mio Dio é proprio brava! Ma il mio terrore primigeno resta, anzi é sempre più grande e maligno; mi rode nella testa ed ogni notte (come oggi che che non potendone più cerco uno sfogo in questa e-mail). Continuo a chiedermi se mai le daranno la possibilità di dimostrare quanto é brava o continuerà ad inseguire una chimera, che non solo non non si farà prendere, ma che pian-piano la consumerà, portandola a cedere. Che succederà quando non potrò più aiutarla? Il compenso a tutti questi sacrifici sarà quello di lavorare come sguattera in un ristorante londinese (come sta facendo ora per rendersi economicamente un po' più indipendente) o, nella migliore delle ipotesi, andare in giro per il mondo "come un pacco postale", senza farsi una casa...una famiglia. Sono veramente disperato e di una disperazione ovviamente celata nel profondo perché non voglio ferirla con i miei dubbi e le mie paure.

Ho bisogno di conforto.

E’ difficile accettare che figli crescano, ai nostri occhi sono dei cuccioli da proteggere.

Le preoccupazioni per il futuro dei figli sono legittime soprattutto quando scelgono professioni dove il percorso da intraprendere non é lineare.

E’ giusto lasciare che i figli seguano le loro attitudini anche rischiando di commettere errori, oppure è meglio guidarli, indirizzandoli secondo la nostra esperienza?

Lei già da tempo ha lasciato sua figlia libera di scegliere. Dalla sua lettera sembra che la ragazza abbia buone possibilità per affermarsi: ha frequentato l’Accademia di Danza, ha vinto una borsa di studio. Sicuramente possiede delle buone qualità artistiche, anche di carattere sembra essere ben determinata. E’ riuscita ad allontanarsi dai suoi affetti proprio nel momento in cui cominciano a consolidarsi le amicizie con i coetanei.

Sarà felice? Nessuno potrà prevedere il futuro: potrà raggiungere il successo e non essere soddisfatta della sua vita o saprà cogliere i piccoli piaceri quotidiani svolgendo una professione diversa dalle sue aspettative.

Dalla sua lettera non emerge il tipo di rapporto che ha stabilito con sua figlia. C’è dialogo o il rapporto si limita a uno scambio formale di informazioni? La lontananza non consente di far vivere quotidianamente gli affetti, potrebbe però creare un forte legame evitando i contrasti e le discussioni di una convivenza quotidiana.

E’ importante per sua figlia sapere che può contare su una persona cara capace di ascoltare i suoi successi ma anche i suoi silenzi, senza aver paura di essere valutata.

Da come scrive appare che lei sia solo con i suoi pensieri a rimuginare sul destino di sua figlia, sembrerebbe che non condivida con nessuno le sue preoccupazioni.

Dietro la preoccupazione sul futuro di sua figlia può nascondersi la sua paura di rimanere solo e di confrontarsi con se stesso. In ogni separazione, vengono riattivate emozioni e pensieri che abbiamo già vissuto durante l’infanzia, quando ci siamo allontanati dai nostri genitori per la prima volta.

Questa situazione, per quanto sofferta, può diventare per lei un’occasione di crescita perché può aiutarla a riflettere sulle emozioni vissute in precedenti distacchi imparando a riconoscere quali emozioni appartengono al passato, e quali invece vengono attivate dall’esperienza vissuta in questo momento.

Buona fortuna.

Gabriella Graziano

Psicologa Psicoterapeuta

Il bisogno di andare "oltre"

Ho 29 anni e studio danza moderna da due e ho un grande GRANDE problema. L'anno scorso, quando ho cominciato, sono partita bene, mi vedevo progredire e migliorare. .Quest'anno trovo tantissime difficolta'. .
Quando ballo...aiuto! sono proprio di legno. Non riesco a sciogliermi, a essere morbida, a essere leggera. Nella mia mente io volo. Nella mia mente sono "grande" e sono bellissima. Poi,in sala, un disastro. Ogni volta peggio, ogni volta entro carica (o mi sembra di esserlo) ed esco avvilita. Provo un grande senso di impotenza, per qualcosa che e' in me e non riesco a tirare fuori. Trovo difficoltà' anche nel ricordarmi i passi appena montati. Se mi concentro sull'essere sciolta capita anche che sbaglio la tecnica. Se mi concentro sulla tecnica, mi irrigidisco. L'insegnante dice che e' una questione mentale, che ho le potenzialità' per fare cose grandiose ma che non mi impegno, non mi concentro, come se non me ne fregasse niente. E si arrabbia e ha ragione perché deve essere avvilente vedere allievi che continuano a sbagliare le stesse cose. Lo so che e' la mente che guida il corpo, i miei ostacoli sono lì. Ma invece di toglierli, sembrano sempre più grandi e più pesanti. E così divento pesante e rigida anch'io. Mi vedo e allo specchio e non mi piaccio. E tutto il mondo mi passa avanti.
Si può' imparare a essere sciolti e a lasciarsi andare ? Come si può' allenare la mente ? Riprendersi l'energia che si sta dissipando ? Riconquistare la stima in se'che poi e' la carica che ci fa muovere le montagne ?

Sonia (Latina)

La lettera rispecchia il lungo lavoro introspettivo che Sonia ha condotto per analizzare "il suo grande problema". Malgrado il desiderio e lo sforzo di modificare la situazione, Sonia rimane intrappolata dai suoi stessi pensieri. Vorrebbe essere più sciolta nei movimenti, ma la preoccupazione di migliorare ostacola la sua performance trasformando in tal modo le piccole difficoltà in problemi. Pur riconoscendo di aver ottenuto buoni risultati, Sonia non è soddisfatta, desidera superare il livello raggiunto. Ha delle aspettative elevate su ciò che potrebbe fare, confronta le sue prestazioni con un modello ideale che non tiene conto di alcune variabili: i pochi anni di allenamento e la minore elasticità conseguente all'età. Dovrebbe perciò puntare di più sulla creatività e sul lato artistico dei suoi movimenti più che su quello tecnico. Se cominciasse ad accettare i suoi limiti e ad apprezzare i risultati allontanerebbe la tensione e il suo rendimento artistico ne risentirebbe in modo positivo. Ma perché ha bisogno di andare oltre? Con che cosa ha bisogno di misurarsi?

A volte la piena espressione delle proprie potenzialità può essere ostacolata dalla paura dei cambiamenti che potrebbero verificarsi nella nuova situazione. Se la libellula spiccasse il volo quali cambiamenti apporterebbe alla sua vita?

Bisognerebbe pertanto capire se le insoddisfazioni di Sonia sono ristrette alla danza o è la danza a diventare il contenitore di altre delusioni. Per un'analisi completa occorrerebbe indagare anche altri aspetti della vita di Sonia e comprendere in che misura ella dà spazio agli aspetti socio-relazionali, affettivi, lavorativi e familiari importanti per uno sviluppo armonico e sereno della personalità.

Gabriella Graziano

Psicologa Psicoterapeuta

L'ansia per l'audizione

Sono Francesca, di Rovigo,ho 19 anni, l'anno scorso mi sono diplomata alla mia scuola di danza con il massimo dei voti, ricevendo complimenti dagli insegnanti e dai compagni. Da quel momento ho cominciato a fare audizioni convinta di trovare facilmente un ingaggio. Purtroppo malgrado il mio alto livello tecnico, riconosciuto da insegnanti di chiara fama, ho riscontrato che durante le audizioni mi sento bloccata e non riesco a rendere al massimo. Mi ritraggo invece di farmi avanti, mi sento estranea all'ambiente e avverto che il mio corpo non riesce a esprimersi pienamente. Mi invadono mille pensieri che mi tolgono la concentrazione. Gli altri mi sembrano più bravi, più degni di essere presi. Dopo l'audizione sono triste e svuotata. Ho paura che questi ripetuti fallimenti mi facciano lasciare la danza che invece amo tanto.

Francesca

Il problema di Francesca è molto frequente in tutti coloro che affrontano le audizioni o i primi colloqui di lavoro che diventano dei veri e propri esami da superare. Al momento di affrontare la prova sarebbe opportuno mettersi in gioco per superare la paura di non sentirsi all’altezza delle proprie ed altrui aspettative. Chi affronta un’audizione spesso si confronta con gli altri ritenendoli migliori, ingigantendo così le loro doti fisiche e sminuendo le proprie. Non bisognerebbe dare luogo a questi pensieri che comprimono ed immobilizzano la nostra espressività, ma dovremmo imparare a soffermare l'attenzione sui punti forza che sicuramente possediamo. Non è questo il momento per guardarci con occhio critico, rimandiamo la valutazione delle nostre capacità alle ore di studio. Molti ignorano che il disagio non dipende dall'audizione, ma dai pensieri negativi che si susseguono velocemente prima e durante la prova, impedendo di concentrarsi sull'esecuzione dei passi. Sarebbe opportuno che Francesca imparasse a lavorare su se stessa, affrontando con maggiore serenità qualunque tipo di prova. Per avere la possibilità di esprimersi al meglio dovrebbe imparare a spezzare questa catena di pensieri automatici mettendoli in discussione.

Ecco cosa fare:

Evitare di dare valutazioni assolute: la prova non è mai completamente negativa. Sicuramente ci sono dei momenti in cui la prova è stata soddisfacente.

Anche se la prova non è stata brillante, riconoscere che non è l'ultima occasione della propria carriera, ci saranno altre possibilità di esprimere il proprio talento.

Spostare la lente di ingrandimento della mente dai difetti alle qualità.

Liberarci dai pensieri negativi consente di fare una valutazione obiettiva dei motivi che hanno impedito il superamento dell'audizione: è questo il primo passo per poter affrontare le difficoltà. Il cambiamento richiederà impegno e tempo ma, è importante riconoscere i piccoli progressi con autogratificazioni che ci aiutano a continuare il nostro cammino e a modificare il comportamento.

Gabriella Graziano

Psicologa Psicoterapeuta

Un'amicizia incrinata

Conosco Rossella da quando frequentavo il primo corso della scuola di danza. La nostra amicizia è nata subito. Essendo molto simili anche fisicamente la nostra insegnante ci ha sempre creato delle coreografie a coppie, facendoci lavorare insieme. Insieme abbiamo frequentato stage all'estero, siamo andate in vacanza, non abbiamo avuto segreti l'una per l'altra. L'ho sempre considerato più di una sorella e ho sempre considerato la nostra amicizia indissolubile.

Tuttavia da qualche tempo la sento molto più scostante, a volte sembra quasi che mi eviti: quando la chiamo per uscire è sempre indaffarata, quando mi avvicino a lezione sembra che non mi ascolti e quando parliamo noto un atteggiamento fortemente critico nei miei confronti. Di fronte alla mia richiesta di chiarimenti si è sempre dimostrata evasiva. Ho cercato di darmi delle spiegazioni ma penso che tutto ciò sia dovuto a un episodio che risale a pochi mesi, fa quando andammo insieme a un'audizione per il musical "West side story" e mi scelsero per la parte di Maria mentre a lei diedero un ruolo secondario. Io ero felice che lavorassimo insieme, tuttavia non ho considerato che anche a lei sarebbe piaciuto avere quella parte, a cui peraltro era molto adatta.

E' possibile che una situazione lavorativa limitata nel tempo, possa oscurare un rapporto di amicizia di così lunga durata? Vorrei tanto fare qualcosa per recuperarlo.

Katia (Siena)

L’atteggiamento ostile di Rossella e i suoi attacchi indiretti esprimono uno stato di rabbia conseguente all’invidia verso l’amica.

Tale stato d'animo è frequente nei rapporti lavorativi: chi non ha mai provato almeno una volta quella sensazione così sgradevole di voler stare al posto della collega?

Per conservare integra la nostra autostima troviamo vari argomenti che giustifichino il successo dell'altro e il nostro fallimento.

Tendiamo ad attribuire il successo altrui alla fortuna o al comportamento alquanto discutibile dei nostri colleghi.

Vedere che l'altro ha raggiunto gli obiettivi che noi da tempo desideravamo, scatena rancore e rabbia, emozioni che interferiscono nella valutazione realistica della situazione.

Si ha difficoltà ad individuare i comportamenti positivi dell'altro e nello stesso tempo non riusciamo a prestare attenzione alle nostre disabilità. L'altro è la causa del nostro disagio, tendiamo a colpevolizzarlo perché riteniamo di aver subito la situazione.

Se riuscissimo invece a concentrarci sui nostri comportamenti da modificare e sulle abilità positive che possediamo non perderemmo tempo a preoccuparci dei successi degli altri.

Quando pensiamo che la persona che occupa il posto da noi tanto ambito è la nostra migliore amica, la ferita diventa più profonda perché si accavallano i pensieri sul successo lavorativo alle aspettative sull'amicizia.

Avremmo bisogno di esprimere la nostra rabbia apertamente alla persona cara che in altri momenti ci ha aiutata a contenere le nostre reazione emotive.

Ma come fare se adesso è lei la causa della nostra sofferenza?

Uno stato d'animo tranquillo e sereno può aiutarci a valutare in modo più realistico la situazione perché ci fa essere consapevoli delle disabilità.

Nei pochi momenti in cui l'amica sembra essere disponibile, Katia potrebbe cercare di parlare del disagio che prova sia nel cambiamento del loro rapporto sia nel ricoprire quel nuovo ruolo lavorativo.

Generalmente quando si parla del disagio che si prova in prima persona: "Io provo disagio da quando...", l'interlocutore è più ricettivo all'ascolto, non si sente attaccato e quindi non ha bisogno di attivare meccanismi di difesa per proteggersi.

Nonostante i vari tentativi per riprendere il contatto, può succedere che Rossella non desideri riprendere il rapporto, allora Katia dovrà modificare le sue aspettative sull'amicizia, non possiamo aspettarci che gli altri si comportino come noi vogliamo.

Gabriella Graziano

Psicologa Psicoterapeuta

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